Orlando che ismarrito avea il cervello
Co-produzione OFFICINE DELLA CULTURA e ASSOCIAZIONE RITMI
con il contributo della Regione Toscana
ORLANDO CHE ISMARRITO AVEA IL CERVELLO
Il Morgante di Luigi Pulci e la musica del suo tempo.
Un viaggio nella storia di Orlando, Margutte, Morgante, Gano… tra giganti, cibo fantastico, guerre, cavalieri, religione, filosofia, nel Quattrocento italiano
LUCA PICCIONI. Liuto, vox tenor
EMILIANO FINUCCI. Viola da braccio, vox cantus
SIMONE MARCELLI. Organo portativo, vox bassus, voce recitante
MASSIMILIANO DRAGONI. Dulcimelo a battenti, percussioni antiche
FABRIZIO LEPRI. Viola ad arco
LUDOVICO MOSENA. Ghironda, dulçiana, flauti, bombarda
LUIGI GERMINI. Trombone rinascimentale
GIANNI MICHELI. voce recitante
consulenza storica, dot.ssa ROSITA BELLOMETTI
Ma la Fortuna attenta sta nascosa
per guastar sempre ciascun nostro effetto.
Mentre che Carlo così si riposa,
Orlando governava in fatto e in detto
la corte e Carlo Magno ed ogni cosa;
Gan per invidia scoppia, il maladetto,
e cominciava un dì con Carlo a dire:
– Abbiàn noi sempre Orlando a obedire?
Luigi Pulci, intellettuale, poeta, espressione di un Umanesimo fiorentino assai particolare, nello stile e nella rappresentazione, tanto narrativa quanto politica e simbolica della cultura del suo tempo, ebbe responsabilità di spicco collaborando con Lorenzo il Magnifico prima e Roberto di Sanseverino poi, trascorrendo la propria vita a Firenze, Venezia, Bologna, Foligno, Padova. Il testo più famoso, già alla fine del XV secolo, a partire dal 1478, è l’opera composta di 23 cantari, il “Morgante”, commissionato da Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo il Magnifico, amica del Pulci stesso e di Angelo Poliziano. Nel 1483, i cantari divennero 28, diventando per tradizione “il Morgante maggiore”.
La particolare scrittura del Pulci, si caratterizza in una dichiarata ed esplicita forma declamatoria in ottava rima, dallo schema ABABABCC, tipico della tradizione scritta ed al contempo orale del Centro Italia, in particolar modo della Toscana.
La tua grandezza dispensar si vuole
e far che ciascuno abbi la sua parte;
la corte tutta quanta se ne duole:
tu credi che costui sia forse Marte? –
Orlando un giorno udì queste parole,
che si sedeva soletto in disparte:
dispiacquegli di Gan quel che diceva,
ma molto più che Carlo gli credeva.
E volle colla spada uccider Gano;
ma Ulivieri in quel mezzo si mise
e Durlindana gli trasse di mano,
e così il me’ che seppe gli divise.
Orlando si sdegnò con Carlo Mano,
e poco men che quivi non l’uccise;
e dipartissi di Parigi solo,
e scoppia e ’mpazza di sdegno e di duolo.
“Il Morgante” risulta essenziale, per ciò che concerne la storia e l’estetica della letteratura quattrocentesca, tanto dal punto di vista “popolare” del testo stesso, la sua fama, la critica ai contemporanei e la capacità di raccontare attraverso “nuove avventure”, la storia di grandi e mitici personaggi cavallereschi come lo stesso Orlando.
…Orlando, che smarrito avea il cervello, com’ella disse:
Ben venga il mio Orlando – gli volle in su la testa dar col brando…
Orlando perse la testa: la perse per le preoccupazioni, per non cadere nelle trame di Gano, dal quale venne tradito alla corte di Carlo Magno, per affrontare giganti e demoni, per evitare incontri maldestri e per raggiungere la madre patria, per difendere gli ideali di un cavaliere senza paure e pronto all’avventura.
E gridò forte: – Gigante, ove vai?
Ben ti pensasti d’avermi ammazzato!
Volgiti addrieto, ché se alie non hai
non puoi da me fuggir, can rinnegato:
a tradimento ingiurïato m’hai!
– Donde il gigante allor maravigliato
si volse addrieto e riteneva il passo;
poi si chinò per tòr di terra un sasso.
È nel suo viaggio in Asia che il paladino Orlando, incontra tre giganti che tengono sotto assedio un Convento di monaci. Il cavaliere libera i fedeli convertendo anche uno dei giganti, Morgante, che diverrà scudiero del prode paladino. La storia si arricchisce, nello stile Quattrocentesco, di riferimenti al clima culturale contemporaneo, “travestendolo” in epico racconto, così come la presenza di un “Gigante nano, Margutte”, rappresenta con efficacia. Una critica alla concezione cavalleresca tradizionale, un gioco dichiaratamente posto tra Umanesimo, Neo-platonismo fiorentino e tradizione popolare.
Giunto Morgante un dì in su ’n un crocicchio,
uscito d’una valle in un gran bosco,
vide venir di lungi, per ispicchio,
un uom che in volto parea tutto fosco.
Détte del capo del battaglio un picchio in terra,
e disse: “Costui non conosco”;
e posesi a sedere in su ’n un sasso,
tanto che questo capitòe al passo
Morgante guata le sue membra tutte
più e più volte dal capo alle piante,
che gli pareano strane, orride e brutte:
– Dimmi il tuo nome, – dicea – vïandante.
Colui rispose: – Il mio nome è Margutte;
ed ebbi voglia anco io d’esser gigante,
poi mi penti’ quando al mezzo fu’ giunto:
vedi che sette braccia sono appunto. –
Disse Morgante: – Tu sia il ben venuto:
ecco ch’io arò pure un fiaschetto allato,
che da due giorni in qua non ho beuto;
e se con meco sarai accompagnato,
io ti farò a camin quel che è dovuto.
Dimmi più oltre: io non t’ho domandato
se se’ cristiano o se se’ saracino,
o se tu credi in Cristo o in Apollino. –
Un gioco che parla di religione, credenza popolare, di giganti, di cibo e ottima cucina, di voli immaginari in terre mai esistite. La modernità di un fiorentino, il Pulci, abile giocatore ed equilibrista tra pensiero filosofico umanistico e concezione popolare della lingua. La morte dei due giganti, quello “grande” a causa di un piccolissimo granchio, quello “Nano” per il gran ridere, sottolinenano l’allegoria fin qui delineata.
Le ottave che si susseguono, danno origine ad un’innata musicalità, tipica della declamazione di matrice tradizionale e appartenente al mondo della cultura orale, ancora oggi in uso. Anche l’aspetto comico, burlesco, si pone come ottimo esempio di quel teatro quattrocentesco che pose le basi di una formula che da lì a poco prese il nome di Commedia dell’Arte.
Anonima propone un viaggio attraverso il Morgante, un racconto musicale che fa patrimonio della produzione appartenente alla seconda metà del XV secolo, nell’universo frottolistico, degli strambotti, odi, barzellette e arie per l’ottava. Autori come Tromboncino, Marchetto Cara, Andrea Antico, Patavino, compositori di alcuni dei brani più importanti del Quattrocento, esaltatori di quel gusto estetico che fece dell’Umanesimo un periodo di straordinaria creatività culturale.
La storia, oltre alla declamazione, all’esecuzione musicale, verrà raccontata attraverso le immagini di un cantastorie che condurrà il pubblico alla comprensione, sollecitando un’attiva partecipazione tra testo, musica e letteratura, in uno stile filologico ad oggi ancora funzionale nella sua fruibilità e “contemporaneità”.
Scheda spettacolo in pdf: Orlando che ismarrito avea il cervello